La seconda guerra mondiale è la nuova grande cesura nella storia del ‘900: il conflitto provoca distruzioni immani e coinvolge direttamente l’azienda Piaggio che per la sua produzione strategica ai fini bellici, assiste impotente alla completa distruzione di molti dei suoi stabilimenti.
L’Italia del secondo dopoguerra è distrutta: soggetta ai flagelli della fame, della disoccupazione, dell’inflazione il Paese si riscatta in una fase di ricostruzione veloce, resa possibile non solo grazie agli aiuti internazionali, ma soprattutto alla voglia di ripresa di uomini e donne, di operai ed imprenditori.
Nel 1945 lo scenario rispetto al 1938 è completamente mutato: non solo è scomparso Attilio Odero, ma la riconversione dall’economia di guerra all’economia di pace marca profondamente la capacità produttiva delle aziende metalmeccaniche. Piaggio perde naturalmente gli stabilimenti africani. In Italia Armando Piaggio riprende faticosamente negli impianti liguri le fila del settore aeronautico e il ripristino degli impianti per l’arredamento navale e ferroviario. Vengono sviluppati aerei progettati da Casiraghi e D’Ascanio, come il P 148 e il P149, velivoli scuola di piccole dimensioni, ben lontani dal grande quadrimotore P108, ma velivoli che ottengono grande successo e consentono un primo recupero delle capacità produttive. Enrico negli stabilimenti toscani, a differenza del fratello, cerca un percorso imprenditoriale del tutto nuovo; accarezza il sogno di contribuire per far superare al Paese le difficoltà nei trasporti.
Enrico Piaggio entra nel complesso gioco della ricostruzione dell’Italia con un’idea precisa, quella di costruire un mezzo di trasporto semplice, a basso costo, a basso consumo, adatto nella guida per tutti, donne comprese. A Biella, dove erano sfollati gli impianti della Piaggio di Pontedera, tecnici ed ingegneri (tra i quali Vittorio Corsini, Renzo Spolti, Carbonero) avevano lavorato alla costruzione di un piccolo scooter, sulla specie di un esemplare visto nei lunghi giorni di inattività nelle cantine del conte Trossi, loro ospite piemontese.
Ne era uscito l’MP5, battezzato dagli operai stessi Paperino per la sua strana forma. Enrico Piaggio in un viaggio a Biella accompagnato da Corradino d’Ascanio vede il Paperino, forse ne è colpito per la dimensione, per la stessa idea di un piccolo veicolo di locomozione, ma non è assolutamente convinto del risultato presentatogli, per cui incarica d’Ascanio di riprogettare in poche settimane lo scooter o meglio di sviluppare l’idea di un veicolo agile che possa avere un ampio impiego. D’Ascanio è ingegnere aeronautico: ancora studente liceale aveva sperimentato il volo di Icaro con un deltaplano fatto con le lenzuola di casa riuscendo a staccarsi dal suolo per 15 metri; giovanissimo ha perfezionato il clinometro. La sua genialità non ha confini e sperimenta macchine e strumenti complessi e antesignani. Nel 1930 ha conquistato il primato mondiale di durata per il volo con l’elicottero, “l’elica rotante”, e l’elicottero è il grande sogno di D’Ascanio che, prima in società con il barone Troiani, quindi nella sperimentazione con Enrico Piaggio, continua a produrre prototipi, fino al PD4, ultimo tentativo del 1954. D’Ascanio è capace di inventare qualsiasi cosa: dal primo rudimentale elaboratore a schede perforate, quando ancora nessuno immaginava gli elaboratori elettronici, all’impastatrice per il forno di Popoli, dal portasigarette a tempo per autolimitarsi nel fumo delle sigarette, ai giochi di prestigio.
Intelletto estremamente versatile, professore poi alla Facoltà di Ingegneria di Pisa assieme ad un altro grande personaggio della Piaggio - Francesco Lanzara -, Corradino d’Ascanio affronta la costruzione dello scooter lavorando alacremente. D’Ascanio non ama la motocicletta: la vede scomoda, con limiti nell’uso a causa della difficoltà di cambiare una gomma o per il fatto che sporca a causa della catena di trasmissione, per cui costruisce un mezzo del tutto diverso.
In poche settimane progetta un veicolo con scocca portante, con motore di 98 cc, a presa diretta, con il cambio sul manubrio in modo da facilitarne la guida, senza forcella ma con un braccio di supporto laterale, tale da consentire agevolmente il cambio della ruota in caso di foratura; la carrozzeria protegge chi guida, la posizione è analoga allo stare seduti in poltrona, tant’è che nell’esporre la sua idea l’ingegnere prima disegna una persona comodamente seduta e quindi vi costruisce sotto il veicolo. Ultimo fondamentale elemento che guida la filosofia del nuovo veicolo è la leggerezza dei materiali: di nuovo una derivazione aeronautica, dove per necessità i materiali devono essere resistenti e leggeri. Con tali innovazioni Corradino presenta, nel settembre del 1945, il suo prototipo, MP6, e, nei primi giorni di aprile del 1946, lo scooter defnitivo.
Enrico, alla vista del mezzo, rimane senz’altro soddisfatto, perché sentendo il ronzio del motore e notando la parte molto ampia del sedile rispetto alla parte centrale e alla coda più strette esclamò: “pare una vespa”, e vespa fu!
Il 24 aprile, alle ore 12, viene depositato negli uffici di Firenze il brevetto per una “motocicletta a complesso razionale di organi ed elementi con telaio combinato con parafanghi e cofano ricoprenti tutta la parte meccanica”, la Vespa. I primi esemplari furono venduti con qualche fatica, ma Enrico Piaggio, dimostrando la stessa audacia del padre, ne mise ugualmente in produzione 2.500.